mercoledì 5 novembre 2014

EPOCHE | Il pallone è smarrito (di Giancristiano Desiderio)

Quando Carl Schmitt va allo stadio è il titolo di un, ahimé, antico saggio di Gennaro Malgieri che, purtroppo, non ho e devo ricordarmi di chiederglielo. Mentre ho tra le maniIl pallone smarrito, edito da Tabula Fati, e lo giro e rigiro, vedo e rivedo, leggo e rileggo con – confesso a me stesso e al mio amico – piacere e sofferenza. Con piacere e gusto della lettura perché Malgieri scrive del declino del calcio di Neymar e Messi come del Tramonto dell’Occidente di Spengler tenendo insieme ipotesi di gioco e lezioni di vita. Con sofferenza e con quel sadismo che è tipico del dolore inflitto a se stessi perché in questo “taccuino calcistico”, nato sulle pagine elettroniche di formiche.net nel mese dell’ultimo Mondiale di calcio, è centrale quello che Malgieri chiama un “suicidio annunciato”: la fine drammatica del Brasile distrutto in diretta televisiva dalla “macchina tedesca” di una Germania implacabile.
La tesi del libro – che, va ricordato ancora perché ne va del valore della critica calcistica di Malgieri, è un testo che è stato scritto mentre il Mondiale era in corso – è che il Brasile ha perso perché non era più ormai da tempo il Brasile. “Il risultato di 7 a 1 per la Germania – nota Malgieri con rigore – non è neppure eccessivo, se si considera la caratura di una squadra vera, costruita nel corso del tempo per vincere senza sconti contro chiunque, a maggior ragione contro fragili e intimiditi giocatori a cui nessuno ha insegnato nel corso degli ultimi dieci, quindi anni il calcio brasiliano, che è una variante artistica della poesia, della letteratura, della geometria, dell’armonia applicate allegramente alla corsa con la palla al piede verso la gloria di gol inevitabili”. La fine di Belo Horizonte dà la mano all’inizio del Maracanà. Nel 1950 l’Uruguay di Obdulio Varela – il capitano della Celeste che pagò poi per tutta la vita quella inattesa vittoria – vinse su un grande Brasile che schierava in attacco Zizinho, Ademir, Jair, Chico e milioni di brasiliani piansero insieme come un solo bambino. Nel 2014 la Germania di Klose ha spazzato via un Brasile che era un fantasma e che aveva rinunciato già ad essere il Brasile. Della Seleçao era rimasto solo l’inganno della superbia e della presunzione che una volta colpito e scoperto ha mostrato l’umanissimo e fragilissimo infantilismo brasiliano. La differenza tra la sconfitta del Maracanà e la disfatta di Belo Horizonte sta nel dopo. Perché dopo venne il grande Pelè e un Brasile che giocava a calcio come si gioca solo in Paradiso (se in Paradiso si giocasse, ma sappiamo che lì – presso gli dèì – non si gioca perché il gioco è terreno e terrestre). Il giorno della sconfitta al Maracanà il piccolo Edson giocava a pallone nel vicolo di casa mentre il padre con i suoi amici guardava la partita in televisione. Il dramma ammutolì tutti. Anche il pallone di Edson smise di rotolare e il bambino, che in quel momento era il Brasile, vide suo padre piangere. La vittoria del 1958 in Svezia iniziò quel giorno perché Pelè imparò prima di tutto la grande lezione del gioco: se vuoi vincere accetta la sconfitta. Dopo la “catastrofe brasiliana” ad opera della “macchina tedesca” non si vede all’orizzonte alcun piccolo Edson. Se oggi “dio non è più brasiliano” è perché il calcio del Brasile non è in grado di trasformare la sconfitta in una presa di coscienza per rifondare nuovamente quella che era la particolarità del comunità calcistica brasiliana: il calcio danzato.
Qualche sera fa ho incontrato Italo Cucci e gli ho chiesto a bruciapelo: “Italo, dimmi in poche parole e con nettezza perché il Brasile ha fatto quella fine”. Mi ha guardato e mi ha chiesto: “Quanti giocatori della Nazionale brasiliana giocavano in Brasile?”. “Uno solo, mi pare”. “Sì, uno solo: Fred. Ecco perché il Brasile ha fatto quella fine: non c’erano brasiliani”. E’ questa la tesi anche di Malgieri: il calcio si è talmente universalizzato che ha finito per perdere le sue particolarità d’origine che erano la fonte del suo stesso gioco universale che, invece, è stato sostituito da una omologazione di base che rende tutto tristemente uniforme. Così mi ritorna in mente quanto scriveva qualche tempo fa Mario Sconcerti in un libro chiedendo a se stesso cosa sarebbe diventato il Brasile con l’unione della danza spontanea con il razionalismo tecnico moderno. Oggi abbiamo la risposta: la fine del Brasile. Io uno che si chiama Hulk o si fa chiamare Hulk non l’avrei fatto scendere in campo innanzitutto per il nome. Anche i nomi hanno la loro importanza. Vero Mané?
Le Nazionali di calcio sono destinate ad esprimere un calcio minore. Le grandi squadre di calcio sono oggi le squadre di club che sono il risultato di una miscela: soldi, atletica, giocatori. Una ricetta esportabile in cui la dimensione dell’appartenenza, della maglia, della tradizione conta molto poco se non nulla. La grande stagione delle squadre nazionali è stata interpretata dalla Coppa Rimet. Con la nascita del Mondiale inizia la fase della decadenza che oggi con il tramonto del Brasile tocca il suo punto più basso in una sorta di nichilismo calcistico. Il pallone è smarrito.

di Giancristiano Desiderio


sabato 25 ottobre 2014

Papa Francesco, il calcio e la globalizzazione (di Giuseppe Brienza)


Il pensiero conservatore di Gennaro Malgieri nel nuovo libro che solca sport, storia, politica e antropologia che è nato dai corsivi scritti dal saggista su Formiche.net durante gli ultimi mondiali di calcio
Prima dell’udienza generale di mercoledì scorso, Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano la squadra di calcio tedesca del Bayern Monaco, all’indomani della partita di Champions league vinta all’Olimpico contro la Roma. Durante l’incontro, in un’auletta dell’aula Paolo VI, il presidente Karl Hopfner e il dirigente Karl-Heinz Rummenigge hanno regalato al Santo Padre un pallone con le firme di tutti i giocatori. Poi il capitano Philipp Lahm e il portiere Manuel Neuer gli hanno consegnato la maglia con il numero 1 e il nome “Franziskus”.
IL CALCIO-CARITA’ DEL BAYERN, CONTRO IL GLOBALISMO
Come ha riportato L’Osservatore Romano, il club calcistico bavarese «donerà al Pontefice un milione di euro, che verrà raccolto con una partita amichevole da giocare entro un anno. “Sarà Papa Francesco a decidere per quali scopi di carità per i poveri verrà utilizzata la somma” ha spiegato Rummenigge» (L’incontro del Papa con la squadra del Bayern Monaco, in L’Osservatore Romano, 23 ottobre 2014, p. 6).
Come evidenziato da ultimo da queste parole del mitico centravanti tedesco, per molti anni “punta” dell’Inter, il Pontificato di Bergoglio non smette di stupire, conseguendo risultati “di civiltà” e fede anche in mondi ormai lontani anni luce dalla visione personalista cristiana. Le parole di Rummenigge e l’udienza del Bayern, assieme alle numerose precedenti di squadre e campioni internazionali in Vaticano, si possono infatti leggere in totale contro-tendenza rispetto alla “finanziarizzazione” del calcio senza volto (e identità) del XXI secolo.
LA CULTURA DELL’INCONTRO, DI CALCIO, VOLUTA DA BERGOGLIO
Poche settimane fa’, poi, cioè dal 1° al 4 settembre, si è tenuto anche in Vaticano il terzo congresso delle Scholas Occurrentes, cioè le “Scuole per l’incontro”, una rete mondiale di istituzioni educative nata su impulso di Papa Francesco. Questa rete, divenuta ormai un movimento internazionale, com’è spiegato in un articolo di Jorge Milia, che è stato alunno di Bergoglio quando questi insegnava Letteratura e Psicologia a Santa Fe negli anni 1964 e 1965, è basata «soprattutto sui pilastri dello sport». Contando oltre trecentomila scuole iscritte, appartenenti a una settantina di Paesi dell’America, dell’Europa e dell’Africa, il movimento delle Scholas Occurrentes, aggiunge il giornalista argentino nel suo articolo pubblicato sul sito internet di Alver Metalli «Terre d’America» e ripreso giovedì scorso dall’Osservatore Romano, ha promosso come uno dei momenti pricipali del congresso e l’incoraggiamento del Papa, «la partita di calcio interreligiosa per la pace organizzata allo stadio Olimpico di Roma alla quale hanno partecipato i grandi giocatori di ieri e di oggi» (Jorge Milia, Come parla Jorge Mario Bergoglio. Fate il futuro volando, in L’Osservatore Romano, 23 ottobre 2014, p. 4).
PAPA FRANCESCO E LA “GEO-POLITICA” DEL CALCIO
Contro l’apice della degenerazione mondialista e spersonalizzante del calcio contemporaneo, la Chiesa di Bergoglio si pone dunque come argine. Nel nuovo libro di Gennaro Malgieri, politico, giornalista e prestigiosa firma di Formiche.net, “Il pallone smarrito. Dal Mondiale brasiliano, una nuova geopolitica calcistica” (Edizioni Tabula Fati, Chieti 2014, pp. 112, € 10), si spiega a tal proposito come, proprio l’ultimo Mondiale di calcio ha mostrato nel modo più chiaro come, la globalizzazione dell’indifferenza, per riprendere una formula spesso utilizzata dal Papa, ha manifestato tutti i suoi segni di corruzione anche del “movimento calcistico”. Diventando globalizzato, scrive infatti Malgieri, «il football ha smarrito le differenze che lo hanno caratterizzato per quasi cento anni. Uniformandosi, le scuole calcistiche tendono ad assimilare moduli e schemi tattici che neppure qualche raro fuoriclasse riesce più a contaminare con il proprio estro, per quanto non manchino volenterosi individualisti purtroppo piegati alle esigenze dei club trasformatisi da società sportive in aziende economico-finanziarie».
Il calcio, insomma, non sfugge alla logica mondialista. Quella stessa che, ha denunciato fin dall’inizio del suo Pontificato Bergoglio, «ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi» (Messaggio di papa Francesco per la celebrazione della 47.ma Giornata della Pace, Città del Vaticano 12 dicembre 2013).
Il calcio, spiega Malgieri, si è appunto omologato nel modo di esprimersi e di proporsi. La Coppa del Mondo disputata in quella che una volta era la terra felice del futebol ha confermato la tendenza utilitarista a cui il calcio s’ispira da oltre vent’anni. Analizzando il Mondiale brasiliano, infatti, è possibile rilevare al massimo grado tutte le anomalie di una nuova geopolitica calcistica confusa, acefala, regolata da fattori extra-sportivi, chiusa all’identità comunitaria ed alla solidarietà.
L’autore di Conservatori europei del Novecento (casa editrice Pagine, Roma 2014), che ha diretto la rivista di cultura politica “Percorsi” ed i quotidiani “Secolo d’Italia” e “L’Indipendente”, con il suo nuovo lavoro individua quindi certe “linee-guida” del pensiero conservatore attuale sul fenomeno sportivo come dinamica sociale rivelativa dello sradicamento globalista. Attraverso l’analisi tecnica e socio-culturale dei fatti e delle partite del Mundial del Brasile del 2014, Malgieri ne propone infatti all’attenzione le “ricadute” sia sul fenomeno del calcio in senso stretto sia sulle dinamiche identitarie, sociali e nazionali, in gran parte rimosse dalla sociologia del “pensiero unico” e dal conformismo culturale imperante.
La globalizzazione, insomma, come ha magistralmente spiegato anche Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (29 giugno 2009), può al massimo rendere vicini, ma non rende affatto gli uomini del nuovo millennio fratelli. Figuriamoci sul campo rettangolare…
Giuseppe Brienza

lunedì 20 ottobre 2014

Novità: IL PALLONE SMARRITO di Gennaro Malgieri

Gennaro Malgieri
IL PALLONE SMARRITO
Dal Mondiale brasiliano una nuova geopolitica calcistica 
Edizioni Tabula fati



Il Mondiale brasiliano ha mostrato tutti i segni della decadenza del movimento calcistico. Diventando “globale”, il football ha smarrito le differenze che lo hanno caratterizzato per quasi cento anni.
Uniformandosi, le scuole calcistiche tendono ad assimilare moduli e schemi tattici che neppure qualche raro fuoriclasse riesce più a “contaminare” con il proprio estro, per quanto non manchino volenterosi individualisti purtroppo piegati alle esigenze dei club trasformatisi da società sportive in aziende economico-finanziarie.
Il calcio, insomma, non sfugge alla logica mondialista. È questo il motivo per cui si è omologato nel modo di esprimersi e di proporsi. La Coppa del Mondo disputata in quella che una volta era la terra felice del futebol ha confermato la tendenza “utilitarista” a cui il calcio s’ispira da oltre vent’anni.
Gennaro Malgieri, analizzando il Mondiale brasiliano, tratteggia le anomalie di una nuova geopolitica calcistica confusa, acefala, regolata da fattori extra-sportivi.


Gennaro Malgieri
IL PALLONE SMARRITO
Dal Mondiale brasiliano
una nuova geopolitica calcistica 
Copertina di Vincenzo Bosica
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-396-3]
Pagg. 112 - € 10,00

http://www.edizionitabulafati.it/ilpallonesmarrito.htm