sabato 25 agosto 2012

AMORE E ODIO


La Juventus è la società calcistica di cui, nel bene e nel male, si parla di più in Italia. Per lei da sempre si è spesa, per esaltarla o irriderla, l’attribuzione antropomorfica di un’identità umana speciale, quella di una signora bellissima e distinta che incute intorno a sé rispetto, di una dama di nobile lignaggio dai modi naturalmente signorili e pacati, ma irresistibilmente determinati.
La Vecchia Signora, questo il suo appellativo più ricorrente, è un’amante raffinata ed esigente. Di lei che a noi bianconeri suscita una passione esclusiva e irrefrenabile siamo pazzamente innamorati e gelosi. Ma quel sentimento diventa un’ossessione da rimuovere con ogni mezzo per chi non riesca a possederla o si senta da lei ignorato ed escluso. Lei non si lascia sedurre dalle avances grossolane e mercantili di popolani arricchiti, corteggiata com’è sotto ogni latitudine da sempre nuove folle d’innamorati adoranti.
Purtroppo, come il mondo della comunicazione esige per ogni star internazionale, parlare di lei, non importa se per incensarla o denigrarla, è sempre un evento che arricchisce in notorietà, soldi e audience i primattori e le comparse della prostituzione mediatica.
Esente dal becero provincialismo delle faziosità di campanile che caratterizzano la parte più rozza del mondo del calcio, la Signoraè continuamente oggetto di opposte attenzioni, di sentimenti forti e conflittuali, ora amorevolmente carezzevoli ora perfidamente graffianti, in ogni caso mai espressioni di noncuranza e impassibilità.
Nei suoi colori sociali c’è posto solo per il bianco e il nero, non per il grigio, colore spesso preferito invece dal popolino che, rintanato nell’ombra anonima del suo loggione, osa lanciare lazzi e sguaiataggini all’indirizzo del suo palco regale, insinuare gratuite maldicenze contro di lei e attentare impunemente al suo onore.
Senza dubbio nel determinare la sua diversità di classe e di ceto hanno un peso decisivo gli annali dorati della sua gloriosa storia ultracentenaria, la cavalcata trionfale dei suoi trenta scudetti, la sua perenne fame di vittorie, la regale signorilità e inesausta passione con cui un’invidiata dinastia familiare, irripetibile in Italia e nel mondo, l’ha allevata, educata e custodita.
Da non sottovalutare poi l’aristocrazia dei suoi natali.
Le sue avversarie e consorelle dello sport pallonaro sono nate popolane, chi tra i fumi di un’osteria, chi tra il vociare indistinto di un oratorio polveroso, chi tra gli schizzi delle pozzanghere di un campetto di periferia, nel migliore dei casi alla scrivania di un megalomane “padrone del vapore”.
Lei è nata, non per caso, per iniziativa di un gruppo di studenti liceali riuniti in elegante consesso su una panchina del corso più aristocratico della “regal Torino”, l’ex capitale d’Italia. E non è differenza da poco.
Forse, però, neanche questo DNA pur socialmente discriminatorio basta a spiegare la genesi di sentimenti in così lacerante contrapposizione fra loro.
Il vero segreto di quest’enigma di consenso e rancore, di passione e malevolenza, di amore e odio si annida più in profondità, addirittura e inaspettatamente nel carico di splendore e responsabilità del suo nome, Gioventù.
E’ un nome speciale, presagio di significato e di senso assai impegnativi, capace di evocare l’audacia, il fascino, la bellezza, la leggenda della giovinezza, il mito che da sempre ha accompagnato l’uomo di ogni cultura nella sua esplosiva avventura adolescenziale, il tesoro affannosamente cercato in ogni tempo e in ogni contrada, l’inafferrabile fonte di gioia e sogno d’immortalità. Un intenso squarcio di vita troppo bello per essere odiato, ma troppo breve e sfuggente per essere a lungo amato senza nostalgia e risentimenti feroci.
Da una parte il tempo della giovinezza permette a chi lo vive di sognare, di staccarsi con spensieratezza dalla realtà, di gustare l’illusione di una vittoria senza fine sul tempo e sulle cose.
Dall’altra il mito della gioventù sfiorita, il passato povero ormai scivolato fra le dita solo come sabbia di una clessidra troppo frettolosa che va svuotandosi di grani, può ingenerare in chi lo ha perduto un bisogno di rivalsa, di vendetta, di odio.
Ritorna l’irrisolto conflitto esistenziale, fra il sogno di giovinezza e l’inesorabile acida resa alla vecchiaia, fra la perdurante voglia giovanile di vita di chi ama la giovinezza e l’angosciante struggimento di rivincita di chi invece la odia, come memoria da rimuovere di un bene a suo tempo scialato e ormai irrimediabilmente perduto.
Cara, impareggiabile Signora Gioventù, a te la passione e il delirante abbraccio di milioni di innamorati. A loro, i tuoi arcigni e frustrati detrattori, il macigno divorante dell’invidia e il lettino dello psicanalista.

Umberto Tozzini

martedì 8 maggio 2012

Presentazione al Salone del Libro di Torino (Domenica 13 Maggio 2012)

Domenica 13 maggio 2012

ore 19:30 - 20:00

LUIGI TENCO. Storia di un omicidio
di Nicola Guarneri e Pasquale Ragone

Edizioni Tabula fati


Lingotto Fiere - Padiglione 3 -  Stand  R 38 – S 41  



venerdì 27 gennaio 2012

Il "giallo" Tenco. Un libro svela l'ultima verità (www.lastampa.it)





Quarantacinque anni di misteri

"Non fu Dalida a scoprire per prima il corpo senza vita di Luigi Tenco nella sua stanza all'hotel Savoy di Sanremo, ma Lucio Dalla". E' la tesi contenuta nel libro "Luigi Tenco, storia di un omicidio" di Nicola Guarneri e Pasquale Ragone. Nel 45esimo anniversario della morte del cantante, gli autori del volume ne ripercorrono le ultime ore di vita ed escludono che Tenco possa essersi suicidato. A Ricaldone, comune dell'alessandrino dove l'artista è sepolto, preferiscono ricordarlo con le sue canzoni. "Non ci appassionano - afferma il sindaco - i retroscena sulla sua fine".

Servizio di Francesco Gilioli e Giorgio Ragnoli

http://multimedia.lastampa.it/multimedia/in-italia/lstp/113637/

Sono passati 45 anni dalla morte di Luigi Tenco (27 gennaio 1967)

Poche vicende hanno simmetricamente diviso l’Italia per così tanto tempo come la tragica fine del cantautore genovese Luigi Tenco. L’annosa dicotomia tra omicidio e suicidio, emersa fin dalle prime ore di quella notte del gennaio 1967, sembra ancora lontana da una soluzione certa. A tal proposito, tra le opere che hanno fatto più discutere c’è un libro, pubblicato dalla casa editrice Tabula Fati nel luglio 2011, che già dal titolo toglie ogni dubbio: “Luigi Tenco. Storia di un omicidio”.

Gli autori. Pasquale Ragone e Nicola Guarneri sono i due giornalisti che si sono lanciati in questa complicata vicenda. I due autori (criminologo il primo, scrittore d’Inchiesta il secondo) hanno scritto un libro a 360 gradi, il primo che tratta unicamente la morte del cantautore genovese. Questi self-made-journalist hanno svolto un lavoro certosino, basato su innumerevoli interviste (la maggior parte inedite) che mantengono uno stile assolutamente colloquiale, utile a far rivivere al lettore le esperienze e i particolari che spesso gli intervistati ripescano dal passato. Gli stralci di queste interviste, riportate interamente in fondo al libro, e un’accurata analisi storico-politica del periodo vanno a formare le due parti in cui si divide l’opera: nella prima si esaminano i motivi che avrebbero portato all’omicidio di Tenco, mentre nella seconda vengono raccolte tutte le prove scientifiche a supporto della tesi omicidiaria, compresa una dettagliata ricostruzione della serata sanremese.

I motivi dell’omicidio. I due autori fondano questa parte del libro sull’intervista a Giovanni Di Stefano, un avvocato di fama mondiale noto ai più per aver difeso nei rispettivi processi il leader serbo Slobodan Milosevic e il dittatore iracheno Saddam Hussein. Di Stefano racconta di un colloquio privato con Mario Moretti, il brigatista che uccise Aldo Moro, nel quale sarebbe venuto a conoscenza del ruolo di Tenco in un tentato golpe in Argentina per spodestare l’allora presidente Arturo Illia. Tenco, che in quanto cantautore era in grado di oltrepassare i confini internazionali senza destare sospetti, sarebbe stato utilizzato dai servizi segreti come informatore. A supporto di tale teoria ci sarebbe anche una dispensa speciale firmata dal Presidente della Repubblica in persona, Giuseppe Saragat, per permettere a Tenco di espatriare nonostante fosse impegnato nel servizio di leva. Guarneri e Ragone setacciano ogni archivio in cerca di prove che confermino la tesi dell’avvocato, come ogni giornalista dovrebbe fare con le proprie fonti. La sensazione, per chi legge, è che effettivamente Tenco sia stato invischiato in un gioco più grande di lui; una volta realizzato il proprio ruolo nella vicenda il cantautore si sarebbe convinto a sporgere una denuncia, motivo per cui sarebbe stato tolto di mezzo.

Le prove scientifiche. Nella seconda parte del libro gli autori si concentrano sulle prove scientifiche, riportando interviste di esperti dei settori più disparati (dalla balistica alla calligrafia). Nonostante le controverse conclusioni a cui giunsero i magistrati in seguito alla riapertura del caso (con la conseguente autopsia) avvenuta nel 2006, sono molti i punti che non quadrerebbero con la tesi suicidiaria, dalla mancanza del segno di Felc alla negatività della prova dello Stub. Particolare attenzione va all’analisi del bossolo: secondo il professor Farneti, autorevole docente di balistica, i segni presenti sullo stesso sarebbero sintomatici dell’uso di un silenziatore, prova inequivocabile che si trattò di un omicidio.

Conclusioni. Il lavoro appare assolutamente esaustivo e convincente. D’altronde sono gli stessi due autori che attraverso le novità descritte nel libro, come la scoperta di alcune fratture ante-mortem sul corpo di Tenco, le analisi balistiche e quelle medico-legali chiederanno la riapertura del caso per omicidio a carico di ignoti. Per mettere la parola fine ad una vicenda che sta per compiere 45 anni.

lunedì 23 gennaio 2012

Ricordando Luigi Tenco: La vita, la musica e la morte fra misteri e arte

Il 27 gennaio 2012 saranno passati 45 anni dalla morte di Luigi Tenco. Poche vicende hanno simmetricamente diviso l’Italia per così tanto tempo come la tragica fine del cantautore genovese. L’annosa dicotomia tra omicidio e suicidio, emersa fin dalle prime ore di quella notte del gennaio 1967, sembra ancora lontana da una soluzione certa. Ma ripercorriamo brevemente la storia di questo ragazzo morto prematuramente all’età di 29 anni.
Luigi Tenco nasce a Cassine (Alessandria) il 21 marzo 1938. La passione per la musica è evidente fin da piccolo: a soli 15 anni fonda il suo primo gruppo, la Jelly Roll Boys Jazz band. A 19 anni entra nel Trio Garibaldi e la voglia di sperimentare nuovi strumenti ne perfeziona la tecnica. Sono i primi passi nel mondo della musica, la stessa che sarebbe diventata da lì a qualche tempo la vera passione di una vita breve ma intensa. Il talento di Tenco è evidente e la svolta arriva nel 1959: l’amicizia con Gianfranco Reverberi lo porta a trasferirsi a Milano dove ottiene i primi lavori suonando il sax in tutte le incisioni della casa discografica Dischi Ricordi. Arrivano così altri contratti, dapprima con la Jolly e infine con la RCA italiana. Quest’ultima ha grandi progetti per Tenco: nell’estate 1966 gli affianca Dalida, una star internazionale, e nei mesi successivi matura l’obiettivo di vincere il successivo Festival di Sanremo dove la coppia decide di esibirsi con una canzone difficile e diversa dalla tradizione musicale sanremese: “Ciao amore ciao”.
Nel corso di quel maledetto Sanremo, Tenco trova la morte nella sua stanza d’albergo 219 dell’Hotel Savoy, la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967. Da quel momento in poi il confine tra ipotesi e certezze diventa sempre più sottile. Il commissario Molinari, incaricato delle indagini, arriva sulla scena del crimine inviando immediatamente un messaggio all’Ansa asserendo che Tenco si è suicidato: non gli è necessario alcun accertamento per giungere a tale conclusione. Eppure le imprecisioni della Polizia costituiscono il primo vero intralcio alle indagini. I necrofori intervenuti per portare via il corpo di Tenco sono dapprima incaricati di trasportarlo all’obitorio di Valle Armea; arrivati a destinazione si chiede loro di riportare immediatamente il corpo nella stanza 219 poiché la Polizia ha dimenticato di fotografare il cadavere. La scena del crimine viene così ricostruita: il cadavere è posto con i piedi sotto il comò e la pistola sotto le gambe, posizioni alquanto insolite per un suicidio. La domanda che ancora oggi angoscia chi si appresta a leggere del caso è: la ricostruzione è fedele rispetto alla posizione originaria del corpo oppure no? Per questi ed altri motivi un esposto dei giornalisti Buttazzi, Pomati e Colonna, impreziosito di una perizia criminologica del Prof. Bruno, fa sì che il caso sia riaperto nel dicembre 2005. La successiva autopsia avvenuto nel 2006, e mai svolta all’epoca della morte di Tenco, non permette però di chiarire i punti oscuri della vicenda nonostante il corpo riesumato sia in condizioni idonee a svolgere tutti gli accertamenti. Il caso viene quindi nuovamente chiuso nel 2009: secondo la Procura della Repubblica di Sanremo, nulla contraddirebbe l’ipotesi del suicidio.
Le conclusioni della Procura sono però destinate a essere subito contraddette. Nel luglio 2011 la casa editrice Tabula Fati pubblica un libro di Pasquale Ragone (criminologo) e Nicola Guarneri (giornalista d’inchiesta). L’opera, nelle sue 300 pagine, analizza in maniera maniacale ogni aspetto del caso: le analisi balistiche e gli accertamenti medico-legali che escludono l’ipotesi suicidiaria, fino ai motivi che avrebbero portato all’omicidio Tenco attraverso un’accurata analisi storico-politica delle vicende internazionali degli anni ’50-’60.

Il libro, intitolato “Luigi Tenco. Storia di un omicidio”, farà parte di un esposto alla Procura della Repubblica di Sanremo con l’obiettivo di far riaprire il caso per omicidio a carico di ignoti. Per scrivere finalmente la parola fine in una vicenda lunga ormai 45 anni.

Pasquale Ragone